Fallimento: istanza di liberazione immobile residenza del fallito; procedura; ordine di liberazione; presupposti; conseguenze.

Tribunale di Pescara, 3 giugno 2016. G.D.: FORTIERI.

Nel programma di liquidazione ex art. 104 ter L.F., il curatore optava per il metodo di liquidazione previsto dall’art. 107, comma 2, L.F., secondo il quale la vendita è disciplinata «dalle disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili». Nell’ambito dei diversi beni immobili da vendere è presente la casa del fallito che poneva in essere condotte ostative alla visita dell’immobile da parte di terzi. A fronte di istanza del curatore, il Giudice, superando l’apparente antinomia tra il comma II dell’art. 47, L.F. ed il comma III dell’art. 560, c.p.c. (disposizione che prevede l’obbligatorietà dell’emissione dell’ordine di liberazione, al più tardi al momento dell’aggiudicazione dell’immobile), disponeva la liberazione dell’immobile occupato dal fallito, ai sensi del comma III, art. 560 c.p.c., sulla base delle seguenti argomentazioni: in primo luogo si è escluso che il riferimento alla «liquidazione delle attività» comporti l’alienazione della casa del fallito come ultimo atto della liquidazione (legittimando così il godimento sino a che non sono stati ceduti tutti gli altri cespiti dell’attivo) in quanto una simile interpretazione frustrerebbe le esigenze di efficienza e celerità proprie della procedura concorsuale riformata; appare preferibile, dunque, ritenere che l’immobile possa essere liquidato non appena si realizzino le condizioni favorevoli al migliore soddisfacimento dei creditori. Diversamente opinando, si determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra la disciplina della liquidazione fallimentare e quella dell’esecuzione individuale contro il fallito avente ad oggetto i medesimi beni. Infatti, nel caso in cui il curatore prosegua un’esecuzione individuale pendente (ex art. 107, comma VI, L.F.) o nel caso in cui si verifichi l’ipotesi dell’art. 41, comma 2, T.U.L.B. (esecuzione promossa dal creditore fondiario contro il fallito, in deroga all’art. 51 L.F.), il fallito non potrebbe validamente invocare l’art. 47, comma 2, L.F., per ottenere un arresto del processo esecutivo o un suo rinvio. In queste fattispecie trovano integrale applicazione le norme del codice di rito (per l’esecuzione continuata dal curatore, l’art. 107, comma 6, L.F., stabilisce che «in tale caso si applicano le disposizioni del codice di procedura civile», senza dettare alcuna riserva di compatibilità con la Legge Fallimentare; per le espropriazioni del creditore fondiario l’applicabilità è ovvia): deve ritenersi pienamente applicabile, dunque, anche l’art. 560 c.p.c. . Peraltro, le previsioni del codice di procedura civile rendono obbligatoria l’emissione dell’ordine di liberazione e lasciano al Giudice solo un margine di discrezionalità sul momento in cui emanare tale provvedimento, fermo restando il termine finale dell’aggiudicazione. Il legislatore, valorizzando la valenza incentivante all’acquisto dell’immediata disponibilità del bene, ha stabilito, all’art. 560, comma III, c.p.c., che «il Giudice dispone ... la liberazione dell’immobile pignorato» (sulla ratio della norma Cass. n. 22747/2011). Detta previsione normativa, che costituisce un punto fondamentale della liquidazione individuale, deve ritenersi pienamente compatibile con le disposizioni della Legge Fallimentare. Di più, l’art. 560, comma III, c.p.c. è norma successiva all’art. 47, comma II, L.F., dovendosene inferire che l’ordine di liberazione ben può essere emesso anche prima della conclusione della liquidazione dell’immobile adibito a casa del fallito. Ancora, depone in senso favorevole a detta conclusione l’analisi della locuzione «fino alla liquidazione delle attività», contenuta nell’art. 47, comma II, L.F., la quale segna il termine prima del quale non è possibile distrarre la casa del fallito da tale uso. In particolare, si tenga conto che la liquidazione concorsuale - disciplinata nel Titolo II, Capo VI («Dell’esercizio provvisorio e della liquidazione dell’attivo»), Sezione II della Legge Fallimentare - preceduta dal programma di liquidazione ex art. 104 ter L.F., si svolge con le forme previste dagli artt. 105 e ss. L.F. e si conclude con l’alienazione dei cespiti; può, quindi, individuarsi un atto prodromico alle attività di liquidazione, le quali hanno inizio con la determinazione del curatore sulle specifiche modalità di alienazione e terminano, nel caso disciplinato dall’art. 107, comma II, L.F., con il decreto di trasferimento dell’immobile. È stato, pertanto, osservato che non esiste una valida ragione per ritenere che il legislatore abbia voluto concedere al fallito la prosecuzione del godimento dell’abitazione sino al momento finale della liquidazione delle attività (decreto di trasferimento); anzi, le medesime ragioni di efficienza che hanno condotto alla ricezione delle ‘‘prassi virtuose’’ formatesi nelle esecuzioni individuali suggeriscono l’opposta interpretazione: la dizione «fino alla liquidazione delle attività» può essere interpretata nel senso che «fino all’inizio della liquidazione delle attività» la casa del fallito non può essere distratta da tale uso. (Luca Cosentino) (Riproduzione riservata).