Lavoro: Revoca del licenziamento in regime Fornero e Jobs Act; impugnazione del lavoratore; Presupposto necessario; Dies a quo.
Tribunale di Vicenza, 28 dicembre 2018 (dep. 2 gennaio 2019), n. 1. Giudice: CAMPO.
La particolarità della revoca del licenziamento riconosciuta dall’art. 18 comma 10 L. 300/1970, rispetto al regime generale degli atti giuridici unilaterali recettizi, è nel riconoscere al datore il diritto potestativo di ripristinare il rapporto di lavoro, senza soluzione di continuità e retroattivamente, essendo indifferente la volontà del lavoratore di ristabilire il rapporto. La norma esclude inoltre l’applicazione delle sanzioni per il licenziamento illegittimo e riconosce il diritto del lavoratore di percepire la retribuzione per il periodo dal licenziamento alla revoca, anche in assenza della prestazione lavorativa.
Nella prospettiva individuata dalla norma, l’interesse giuridico a revocare il licenziamento ed a ripristinare il rapporto di lavoro sorge solo con l’impugnazione del recesso da parte del lavoratore. La previsione del nuovo regime decadenziale disciplinato dall’art. 6 L. 604/1966, porta a individuare una fattispecie “secondaria”, articolata sull’impugnazione e sulla successiva revoca, caratterizzata dall’idoneità del licenziamento a produrre gli stessi effetti di un licenziamento valido ed efficace.
Trasponendo questi principi sul piano della fattispecie sostanziale, deve ritenersi che gli effetti ripristinatori della revoca, stabiliti dal comma 10 dell’art. 18 L. 300/1970, presuppongano una preventiva impugnazione del licenziamento, che costituisce il presupposto necessario perché il potere di revoca esplichi i suoi effetti di ricostituzione del rapporto ex tunc.
Nel periodo antecedente all’impugnazione l’eventuale esercizio del potere di revoca da parte del datore di lavoro non esplica gli effetti ripristinatori del rapporto in assenza del consenso del lavoratore. Valgono, per il periodo corrente fino all’impugnazione del licenziamento, i principi già elaborati dalla giurisprudenza di legittimità prima dell’entrata in vigore del comma 10 dell’art. 18. Infatti, la revoca di un atto ricettizio come il licenziamento è stata considerata come nuova proposta contrattuale di ricostituzione del rapporto, che richiede, per la sua efficacia, l’accettazione del lavoratore (cfr., ex multis, Cass. 13090/2011; per le conseguenze risarcitorie, cfr. Cass. 12102/2004; Cass. 23485/2016).
Prima dell’impugnazione del licenziamento il ripristino del rapporto di lavoro presupporrà pur sempre una manifestazione di volontà anche da parte del lavoratore per consentire gli effetti ripristinatori del rapporto.
Dopo l’impugnazione del licenziamento, la norma in esame (la cui speciale disciplina costituisce una deroga al regime ordinario degli atti unilaterali ricettizi, limitata ai soli casi di applicabilità dell’art. 18, in ragione delle più gravi conseguenze sanzionatorie previste da questa norma rispetto all’art. 8 L. 604/1966) configura un potere di revoca che prescinde dalla manifestazione di volontà adesiva del lavoratore ed il potere di revoca si configura come diritto potestativo, che incide sulla sfera giuridica del destinatario, attraverso il ripristino ex tunc del rapporto di lavoro.
Questa soluzione trova conforto nell’art. 5 D. Lgs. 23/2015, che ha disciplinato l’istituto della revoca espressamente per tutti i regimi sanzionatori, compresi quelli riferibili alle imprese sotto la soglia dimensionale (ossia anche per imprese fino a 15 dipendenti). (Laura Gonzo) (Riproduzione riservata).