Penale: reati fallimentari; piano di risanamento non è sufficiente per evitare la bancarotta e conseguenze cautelari; concordato preventivo; dismissione degli asset; insufficienza del piano.
Corte di Cassazione, sez. V pen., 8 gennaio 2016, n. 8926 (dep. 3 marzo 2016). Presidente: ZAZA; Relatore: SETTEMBRE.
Il piano di risanamento, sia pure attestato da un professionista qualificato, non basta a evitare la contestazione della bancarotta e le relative misure cautelari. La dismissione di tutti gli asset aziendali da parte della srl era stata effettuata dopo che il tribunale aveva convocato il debitore per chiudere la procedura di concordato preventivo avviata dallo stesso e procedere eventualmente alla dichiarazione di fallimento. Neppure contando sulla redazione di un piano di risanamento aziendale redatto sulla base di quanto stabilito dall’articolo 67, comma 3, lettera d) della legge fallimentare. Il piano infatti deve almeno apparire idoneo a permettere il risanamento dell’esposizione debitoria dell’azienda e assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria. La redazione del piano quindi non è di per sè stessa sufficiente a escludere una valutazione di congruenza e fattibilità, quando è strumentalmente destinato “a proteggere attività negoziali che, per essere svolte in un momento di crisi dell’impresa, si appalesano idonee a distogliere il patrimonio dalla sua finalità tipica (la garanzia per i creditori)”.