Fallimento: reclamo per soli vizi di rito; inammissibilità dell'impugnazione se non impone una rimessione al primo giudice; difetto di interesse.
Corte di Cassazione, sez. I civ., n. 2302 (dep. 5 febbraio 2016). Presidente: CECCHERINI; Relatore: DIDONE.
Il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento che denunci esclusivamente vizi di rito è ammissibile solo se l’eventuale fondatezza delle doglianze imporrebbe una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c.; in caso contrario, deve essere dichiarata d'ufficio l'inammissibilità dell'impugnazione. D'altra parte, la nullità della vocatio in ius «resta sanata nel caso in cui il debitore non l'abbia specificamente dedotta nella memoria di costituzione, difendendosi nel merito». Nell'ipotesi in cui con il reclamo siano dedotti vizi di rito diversi da quelli di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c., il giudice deve trattenere la causa e decidere nel merito, consentendo di esercitare in appello tutte le attività che si sarebbero potute svolgere in primo grado se il procedimento fosse stato ritualmente instaurato. Tuttavia, nel caso in esame non erano stati proposti motivi di gravame diversi da quelli relativi alla violazione del diritto di difesa. E dunque non essendo state dedotte ritualmente anche questioni di merito, l'impugnazione «dovrà ritenersi inammissibile, oltre che per difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione».